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Il famoso primario di Medicina Riabilitativa dell'Istituto Ortopedico Galeazzi, cofondatore di Physioclinic, si racconta in una splendida intervista realizzata da Giampiero Rossi

Melegati già medico del Milan e della nazionale di Rugby, ha avuto tra i suoi pazienti Ronaldo il Fenomeno e Jorge Lorenzo, «ma anche anziane con la sciatica e tantissimi atleti amatoriali, spesso vittime di un eccesso di informazioni».

L’emozione più intensa: «L’inno di Mameli a Twickenham, con i ragazzi della nazionale di Rugby abbracciati a centrocampo e 80 mila persone che urlano all’impazzata sugli spalti». La gioia più grande: «La vittoria dello scudetto come medico del Milan». L’atleta perfetto: «Roberto Bolle». Il più forte: «Il rugbista Franchino Properzi, ha fatto saltare la macchina che misura lo sforzo muscolare». Il più divertente: «Antonio Cassano, in allenamento numeri incredibili e grandi risate». La vita del dottor Gianluca Melegati, 68 anni, fisiatra e medico dello sport, è riassunta sulle pareti del suo studio: campioni di ogni disciplina – dal rugby al calcio, dallo sci al motociclismo, dal volley alla danza – che posano con lui o gli dedicano frasi che lo commuovono a distanza di anni. Perché lo sport, tutto lo sport, prima ancora della medicina, è la sua grande passione-vocazione, sbocciata quando era ancora bambino.

I pionieri del football americano
Da specializzando, nei primi anni Ottanta, fa tirocinio al Centro Traumatologia dello Sport (Cts) del Gaetano Pini, sotto la guida del professor Albino Lanzetta, medico delle leggendarie «scarpette rosse» del Simmenthal basket. E si fa le ossa sul campo (lui solo metaforicamente, i giocatori anche letteralmente) con i Rhinos, la squadra milanese di football americano. Il giovane Melegati diventa presto responsabile del laboratorio di Isocinetica, dove impara il mestiere della riabilitazione. «Usavo il Cybex, una macchina per la valutazione dello sforzo muscolare. Ed è stato lì che sono rimasto impressionato dalla forza spaventosa di Franchino Properzi, allora pilone della nazionale di rugby: mandò in tilt la strumentazione, in letteratura non esisteva nulla di simile».

Un'ora di calci
Il passaggio successivo è il lavoro al dipartimento di riabilitazione del Pini, dove il primario Felice Di Domenica lo introduce proprio nel mondo del rugby. Ma in parallelo, il giovane medico va alla Pittsburgh University per ripetuti stage con il dottor Freddie Fu, una sorta di mito della medicina sportiva mondiale, medico delle squadre di football americano come Pittsburgh Steelers e Panthers, anni dopo noto per l’intervento al ginocchio di Zlatan Ibrahimović. Il grande sport arriverà all’inizio degli anni Duemila, quando diventa responsabile dello staff medico della nazionale italiana di rugby. «Non dimenticherò mai, e solo a raccontarlo mi vengono ancora i brividi, l’inno di Mameli nello stadio di Twickenham, il tempio dei rugbisti – racconta il dottor Melegati -. I giocatori abbracciati in cerchio e l’urlo assordante degli ottantamila sugli spalti». Nel rugby un medico sportivo vede di tutto, «perché è uno sport di collisione, si mette in gioco tutto, anima e corpo». Ma anche un ambiente fatto di grande fairplay e passione: «Restavo ammirato nel vedere, alla fine di ogni allenamento della nazionale, Diego Dominguez che si fermava un’ora in più per provare i calci piazzati».

La penna d'oro di Galliani
Nel 2000 passa a dirigere il centro di riabilitazione dello sport del Galeazzi, insieme ai colleghi Piero Volpi (storico medico dell’Inter) e Herbert Schoenhuber (storico medico dello sci alpino), e nel 2010 arriva la sfida del calcio. «Ero qui in studio, la segretaria mi avverte che in sala d’attesa c’è Adriano Galliani. Entra, si siede, estrae una penna d’oro con il simbolo del Milan e mi dice: “Lei deve venire a dirigere il nostro staff medico, è considerato molto bravo e gode di buona stampa”. Si riferiva a un’intervista in cui Nick Mallet, allenatore della nazionale di rugby italiana, dopo che aveva guidato quella sudafricana, aveva detto che non aveva mai avuto un team medico migliore in tutta la sua carriera». Per Melegati, milanista dalla nascita, è un’offerta irresistibile: «Lasciai il rugby con grande dispiacere, ma Milanello è un posto incredibile».

Un altro mondo
Il dottore realizza subito che «il calcio è proprio un mondo a parte». Prima immagine: «I giocatori non toccano neanche le borse, gliele portano i magazzinieri, loro si muovono soltanto con i necessaire griffati». Secondo flash: «Entrano in palestra con le scarpe a tacchetti sporche di fango, l’unico che se le toglieva era l’olandese Mark Van Bommel. Ma ho avuto la fortuna di incontrare giocatori e uomini straordinari, per personalità e professionalità». E non manca il divertimento: in allenamento Antonio Cassano, insieme a Pato fa numeri «incredibili» e regala siparietti esilaranti: «La sera prima di una partita in trasferta, credo a Lecce, durante la cena, chiama platealmente il cameriere per ordinare una bottiglia di vino. Cala il silenzio nella sala. Io sono al tavolo accanto, con i dirigenti e l’allenatore. Nessuno interviene, quindi mi alzo io, mi avvicino e sottovoce cerco di convincerlo a evitare. E allora lui, sempre a voce altissima e con i suoi modi guasconi: “Ok, Doc, se me lo chiedi tu così, allora va bene”. Richiama il cameriere e gli dice di non portare il vino».

Cassano? Come Cicerone
Secondo episodio indelebile, trasferta a Palermo: «Quando il pullman passa sul luogo della strage di Capaci, lui intrattiene i compagni su quella tragedia, con dovizia di particolari. E continua anche l’indomani mattina, durante la sgambata sulla spiaggia. Il mister Allegri, che lo vede parlare animatamente, chiede sorridendo: “Ma cosa sta raccontando Antonio?”. Intervengo io: “Sta facendo da Cicerone”. Lui si fa subito serio e viene verso di me con il volto accigliato: “Doc, come ti permetti? Cicerone a chi?”. Credeva fosse una definizione offensiva, ma quando ha capito è scoppiato a ridere anche lui».

Seedorf spacca il secondo
Altro aneddoto, Clarence Seedorf: «Allegri convoca una riunione che definisce importante, l’appuntamento è alle 11. Alle 10.50 siamo già tutti radunati, i giocatori e noi dello staff. Il mister arriva alle 10.55, manca solo Clarence, è in palestra a finire la sua serie di esercizi. “Andate a chiamarlo”, ordina Allegri. Un compagno va, ma Seedorf non smette i suoi lavori e replica seccato: “La riunione è alle 11”. Il compagno torna imbarazzato, c’è tensione. Alle 10.58 Seedorf compare sulla soglia dello spogliatoio, fermo. Aspetta le 10.59 e 55 secondi, quindi entra».

Due scudetti in uno
Al Milan, il «Doc» Melegati introduce i propri metodi di prevenzione degli infortuni e alla fine di quella stagione («Grazie al contributo di tutto lo staff medico e dei colleghi, Gevi e Trabattoni») raccoglierà due grandi risultati: l’emozione «impensabile quando ero bambino» di festeggiare lo scudetto esultando in campo con tutta la squadra e, dal punto di vista professionale, una statistica sugli infortuni talmente positiva da finire sulle riviste scientifiche internazionali. Ma quello del grande calcio non è un ambiente facile: «Molti giocatori, prima di accettare il programma di recupero che proponevo io aspettavano il cenno di consenso del “loro” fisioterapista. E in qualche caso veniva interpellato anche il procuratore». Insomma, la professione deve misurarsi con altre logiche. A fine stagione il Doc lascia il Milan e torna ai suoi sport, per poi vivere una seconda stagione con i rossoneri nel 2017, prima con Vicenzo Montella e poi con Gennaro Gattuso.

Bolle, Ronaldo e i tapascioni
Al termine di quel campionato chiude col calcio, ma anche lontano dai riflettori della serie A, un medico sportivo apprezzato si trova a contatto con atleti importanti: dal campione del mondo di MotoGp Jorge Lorenzo al veterano della Parigi-Dakar Claudio Terruzzi, dai pallavolisti agli sciatori, e poi fuoriclasse come l’étoile della Scala Roberto Bolle («Atleta praticamente perfetto»), e prima ancora Ronaldo il Fenomeno e tantissimi altri. «Ma io vedo una trentina di pazienti al giorno – precisa Melegati – comprese signore anziane con problemi di sciatica e tantissimi sportivi amatoriali». Ecco, appunto, ma i «tapascioni» sono più gestibili dei campioni famosi e superpagati? «Sì, ma anche loro sono spesso vittime dell’eccesso di informazione, arrivano qui che hanno già in mente tutto loro: scarpe, alimentazione, allenamenti e programmi di recupero. E il difficile, per me, è convincerli che anche il riposo è importante. Dai grandi atleti si impara che nello sport anche il tempo ha valore».